venerdì 7 febbraio 2014

TORINO-DAKAR A/R - Memorie di viaggio #3


 Alle 5 siamo in piedi, le moto sono di nuovo in ordine e noi realizziamo di essere al giro di boa. La sveglia è stata una canzone di Daniele Silvestri.
“Che salpino le navi, si levino le ancora e si gonfino le vele…”, ho questa frase che gira dentro il casco mentre usciamo dal fumo nero della città e ci indirizziamo verso il Lago rosa. Attraversiamo zone rurali, capanne e lamiere da cui iniziano ad uscire studenti, cartelle e divise azzurre.



Arriviamo al lago. E’ rosa, è l’alba. Facciamo colazione insieme a centinaia di uccelli acquatici in un equilibrio perfetto tra attese e ricordi.



Riprendiamo lo sterrato e superiamo altri piccoli villaggi fino a che non riconquistiamo l’asfalto lungo l’arteria dell’andata.

 
 


Torniamo a S. Louis. Facciamo una visita alla città, entriamo in un negozietto di tessuti e scopriamo dal negoziante che gli italiani sono benvoluti in Senegal perchè “sono gli africani d'Europa” - la frase sibillina ha un sapore agrodolce -

 


La città è più animata di qualche sera fa, c’è la festa del cuscus, e andrà avanti quasi fino all’alba.

Ripartiamo verso la frontiera, ma questa volta abbiamo tutte le carte in regola per passare da Djama. 

 


Questa è completamente diversa dalla dogana attraversata all’andata: non c’è la chiatta, c’è un ponte a congiungere le due rive, non ci sono faccendieri avidi, ma semplici funzionari, e non ci vogliono 4 ore per attraversarla, ma ne basta una. Le altre 3 le spendiamo ad attraversare il parco di Djama e ad ammirare facoceri, caimani, varani e uccelli acquatici di ogni tipo. 

 


Questa strada attraversa zone meno popolate e ci permette di evitare i numerosi controlli di polizia. 
 
 

Arriviamo a Nouackhott in serata, passando dalla zona portuale. Il via vai è impressionante; camion, persone, mezzi da lavoro e polvere creano un unico grande cantiere da cui usciamo velocemente.
Il giorno dopo inizia una tappa conosciuta, il che rende tutto più complicato. 

  
 

La ritualità dei gesti e la “conoscenza” dei luoghi sono elementi che da ora in poi giocheranno a nostro sfavore, sarà come un libro già letto. Non rotoleremo più verso l'ultima pagina in attesa di dare un senso al testo, il senso sarà nella riga stessa che avremo davanti in quel momento. Non dovremo più aspettarci la frase ad effetto, ma piuttosto capire l'effetto della frase. L’unica differenza è che non potremo lasciare a metà la lettura, in ogni caso arriveremo al fondo, tra 5000 km.
 
 
 
 


Quando arriviamo a Noadibou ci ritroviamo ad attraversare la città in 4, una moto nel frattempo si è accodata a noi.

Si tratta di un ragazzo inglese diretto in Sud Africa . Starà con noi a cena e mangeremo insieme del dromedario cucinato divinamente da Luis, il ristoratore conosciuto qualche giorno prima. 



Il giorno dopo ci ripresentiamo alla frontiera con il Marocco, ma i controlli, visti da questo lato, sono molto più stringenti. Somiglia a tutte le frontiere in cui qualcuno, attraversandole, prova a migliorare la propria condizione, e qualcun altro, presidiandole, cerca di far desistere i primi.

Ciò si traduce in ore di attesa, attesa di un gesto di indulgenza che faccia avanzare di pochi metri, di gendarme in gendarme, fino a riprendere il deserto qualche ora o qualche giorno dopo, a seconda del proprio carico di disperazione.



Marocco:



Arriviamo a Dakhla. Quando arrivi a Dakhla da nord sembra l’ultimo avamposto umano prima del nulla, 

  
quando ci arrivi da sud, sembra casa tua.

 


Prima di ripartire dobbiamo cambiare i soldi. Ci infiliamo nel posto migliore per farlo, nel bazar, dentro una baracca adibita a sartoria. Il “sarto” ci cambia 300 euro in 3 minuti, sparisce nel retro e riappare con un rotolo di contanti locali ...roba che nemmeno il Banco della Mauritania.

 


La tappa dopo è faticosa, non per le decine di chilometri che diventano centinaia, e nemmeno per la pianura sconfinata di sabbia che diventa una pianura sconfinata di roccia, ma piuttosto per il vento, che diventa turbolenza, poi folata, poi raffica e infine ostacolo. La mia moto al massimo della sua velocità non tiene i 100 all’ora, e così sarà fino ad El Ayun.

 


Partire da El Ayun in direzione di Agadir vuol dire attraversare il Parco di Khnifiss. E’ splendido con le sue spiagge, la laguna, le montagne brulle, i calanchi, le scogliere e i cactus. Varrebbe la pena tornare fin qui solo per rivederlo.  

 
 


Da qui in poi si sente il profumo di Europa.

Riprendiamo l’autostrada, la temperatura scende ed arriviamo ad Agadir.

La catena della moto di Marco comincia a preoccuparci, dà evidenti segni di cedimento ed ogni 200 km dobbiamo fermarci per tirarla.

Partiamo da Agadir senza una meta precisa, arriveremo fin dove riusciremo. Abbiamo notizie da casa: freddo intenso e nevicate in pianura, così decidiamo di accorciare i tempi adesso in previsione di dover rallentare un pò in Europa.

Giungiamo in serata a Tangeri, abbiamo preso acqua tutto il giorno, è buio e ci presentiamo in porto come degli studenti dopo il suono della campanella all’ingresso, convinti di essere in ritardo. Riusciamo a prendere la nave al volo, e senza nemmeno rendercene conto, abbiamo il Marocco alle spalle e Tarifa di fronte.

Scendiamo dalla nave, non sappiamo ancora dove andare a dormire, ma per adesso non ci interessa. Ci beviamo una birra, una di quelle che bevi quando sei completamente fradicio, stanco, impolverato ma soddisfatto, una di quelle dal gusto persistente.



Europa



Il percorso che segue la costa spagnola in direzione di Valencia è un tratto di strada molto suggestivo. C’è un sole che dà fiducia, ci sono 3 gradi centigradi che tengono svegli, c’è la neve sulla Sierra Nevada che regala un orizzonte da cartolina e ci sono una serie di thè bolleti che scandiscono i nostri chilometri.

 
 
 

Purtroppo ci sono anche 3 inconvenienti; il primo è la catena della moto che è finita e potrebbe rompersi da un momento all’altro, il secondo è la mia gomma posteriore liscia, e il terzo lo scopriamo una volta arrivati a Valencia, ed è la vite del filtro olio della mia moto che non tiene più. Abbiamo però la fortuna di conoscere Valencia, ed essendoci stati qualche anno prima durante la Transiberica, sappiamo dove andare a chiedere aiuto. Un’officina yamaha che ci prende sotto la sua ala e in una notte sistema tutto; catena, olio, pneumatico e morale.

 
 


Oggi entriamo in Francia, e tutto sembra procedere come previsto, con il freddo intenso e i thè corroboranti. Tutto previsto, tranne il vento che si alza tanto da sbattere le moto per terra da ferme.


 

 Le rialziamo, ci rialziamo e riprendiamo.

Passano le ore e passano gli automobilisti che ci fotografano come fossimo l'attrazione della giornata

Ad un tratto la yamaha comincia a singhiozzare, sbuffa fumo nero e ci costringe ad una sosta. Siamo in una piazzola, sta per fare buio e mancano circa 200 chilomentri a Montpellier. Siamo preoccupati, siamo stanchi e infreddoliti. Il meccanico di fiducia di Torino fa una diagnosi telefonica e ci dà 3 possibili soluzioni. A noi va bene la prima; liberiamo il filtro dell’aria dall’eccesso di olio che si era accumulato e la moto riprende a respirare come un’apneista appena uscito dal pelo dell’acqua. Ci fermiamo così come previsto dopo 200 km, sono le 22.30 e ci resta solo una cosa da fare, dormire.

 


L’ultimo giorno è uno di quei giorni in cui il tempo si dilata. Nessuno sembra voler farlo finire; prima la batteria della moto di Masi, poi la pioggia, la neve, i nostri pensieri e il paesaggio che piano piano svanisce lasciando spazio alle scie dei nostri fari. 

 



Delle ultime ore ricordo poco, ricordo il freddo e la sensazione di essere arrivati alla fine del libro, ricordo che prima di aver letto l'ultima riga mi sono messo a risfogliare le pagine a caso.



Ricordo la solita piazzola di sosta, la solita foto sgranata e tremolante, e le solite facce sporche da naufraghi.